Florovivaismo: da pandemia spinta positiva per mercato interno. Soffre l’export

9 Febbraio 2023

Il punto sul settore con Sandro Orlandini, presidente Cia Toscana Centro

di Pippo Russo


Fra i settori dell’agricoltura toscana quello florovivaistico si è trovato a vivere un periodo altalenante. Ne abbiamo parlato con Sandro Orlandini, presidente di Cia-Toscana Centro e imprenditore del settore.

Qual è lo stato di salute del settore? Possono cogliersi delle tendenze specifiche? E quale è stata l’incidenza della pandemia?

Il periodo della pandemia è andato bene, per quanto riguarda i primi due anni e anche in maniera un po’ inaspettata. Invece dopo l’avvio della guerra russo-ucraina un po’ più di segnali negativi li abbiamo avuti perché lì c’era un mercato di quelli emergenti, dove il nostro settore era presente. Specie in Russia c’era un buon mercato dei prodotti ornamentali. Penso alle Olimpiadi invernali di Sochi (2014), dove il florovivaismo pistoiese aveva portato del materiale, fatto degli allestimenti. La Russia e gli altri paesi limitrofi erano comunque dei mercati importanti, quindi l’instabilità generale in quell’area lì ha portato delle flessioni importanti.

Essendo venuto a mancare quel segmento di mercato, il vostro settore è andato a cercarne altri?

Purtroppo, per cause ovvie legate alla durata dei trasporti, il nostro settore non può espandersi oltre Oceano. Possiamo avere un raggio d’azione in Europa, o in Medio Oriente e Magreb. Anche in quel caso, andando indietro nel tempo (inizio Anni Dieci, ndr), le turbolenze della Primavera Araba hanno portato a flessioni delle nostre esportazioni. Un tempo era un partner importante la Tunisia, ma poi i vari rivolgimenti politici hanno provocato ripercussioni anche su quel mercato. I fenomeni politici internazionali influenzano molto il florovivaismo perché è un settore fortemente vocato all’esportazione.

Quest’ultima considerazione ci spinge a dare un’occhiata al mercato italiano: qual è la situazione attuale?

Il mercato interno ha ricevuto una spinta positiva dalla pandemia. La gente ha cominciato a preoccuparsi di più del giardino. Dopo il ritorno alla normalità questo beneficio è nettamente diminuito. In parallelo c’era stata tutta la tematica sollecitata dalla Commissione Ue, relativamente all’impatto del verde nelle città, alla necessità di impiantare alberi nello spazio urbano. Rispetto a ciò, la crisi da covid ha dato certamente un impulso positivo.

Guardiamo al segmento delle politiche pubbliche locali: dagli enti territoriali locali che tipo di impulsi arrivano?

La spinta che viene dal Green Deal è stata colta anche dalle amministrazioni locali, quindi si spera che anche a livello di politiche pubbliche da parte dei comuni si faccia qualcosa di meglio rispetto al verde. Se guardiamo soprattutto alle grandi città italiane ci accorgiamo di quanto ci sarebbe bisogno di rinnovamento del verde pubblico. C’è una grande presenza di piante vecchie e pericolanti. Bisogna sempre ricordare che anche le piante hanno un ciclo vitale, che a un dato momento bisogna rimpiazzarle. E se si tiene conto del ripetersi di eventi climatici estremi, ecco che gli alberi molto vecchi possono diventare un problema per la sicurezza.

Siamo entrati nella fase politica della transizione ecologica, e anche l’applicazione del PNRR ha impatto su questo versante. Per il comparto che lei rappresenta, quali sono gli effetti già visibili?

C’è un po’ di confusione, anche a livello di definizione. Si parla tanto di forestazione urbana e noi puntiamo tanto a migliorare il verde pubblico delle città. Purtroppo quando si parla di boschi in città, di forestazione urbana, si fa un po’ di confusione col vivaismo forestale che invece negli anni si è indebolito tantissimo. Rispetto all’ornamentale è un’altra cosa. Il vivaismo forestale è sviluppato per lo più in montagna, sono piccolissime piantine da seme di scarso valore commerciale, si tratta di un vivaismo sostenuto per lo più dalla parte pubblica, quindi tante volte riscontriamo un po’ questa confusione. E questa confusione si riversa nei bandi, come è stato fatto anche notare dai vivaisti locali che rimarcavano come certe misure fossero destinate al vivaismo forestale. La nostra punta d’eccellenza è il vivaismo ornamentale, mentre quello forestale, ahimè, in Toscana si è quasi disperso.

In termini di innovazione e tecnologica, ma anche organizzativa, quali sono le novità più significative che ha riscontrato nel suo settore?

Ci si sta molto orientando sull’agricoltura di precisione, specie con riferimento alle operazioni di irrigazione. Che vanno effettuate con sempre maggiore efficienza in conseguenza dei cambiamenti climatici. Anche nelle zone che storicamente sono state caratterizzate da abbondanza idrica, il recupero delle acque diventa fondamentale.

Parliamo di ricambio generazionale: il suo settore è aperto ai giovani o ci sono difficoltà a inserirli?

Abbiamo tanti giovani e molto impegnati. È un settore che ne richiama tanti. In questo senso il settore florovivaistico ha un’età media inferiore rispetto a molti altri settori agrari, nei quali invece vedo assemblee caratterizzate quasi esclusivamente da “teste bianche”.


Tratto da Dimensione Agricoltura n. 2/2023

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